Layout Type

Presets Color

Background Image

Comunicati stampa

 

Bonus 600 euro per nuove categorie di lavoratori: novità del decreto maggio

Previsioni del Decreto Maggio: Indennità anche per dipendenti e autonomi che hanno ridotto o cessato l'attività

 

 

Il tanto atteso decreto aprile, divenuto decreto maggio, non è ancora stato approvato. Dalla bozza in esame al Consiglio dei Ministri tuttavia si prevede l’intenzione di rinnovare per il mese di aprile il bonus di 600 euro già concesso a favore dei soggetti di cui all'articolo 27 del decreto-legge 18 marzo del 2020, n. 18, nel mese di marzo e di estendere questa indennità a nuovi beneficiari non contemplati precedentemente nel “Cura Italia”.

Si tratta di lavoratori dipendenti e autonomi che, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID 19 hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività o il loro rapporto di lavoro.

Ai nuovi beneficiari verrebbe quindi concessa un’ indennità pari a 600 euro per ciascun mese di aprile e di maggio.

Vediamo nello specifico quali sono  le categorie dei nuovi lavoratori e i rispettivi requisiti, indicati nell'art. 20 della bozza di decreto maggio:

  • lavoratori dipendenti stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo e degli stabilimenti termali che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 31 gennaio 2020 e che abbiano svolto la prestazione lavorativa per almeno trenta giornate nel medesimo periodo;
  • lavoratori intermittenti (art. 13-18 del D. Lgs. 81/15), che abbiano lavorato almeno trenta giornate tra il 1° gennaio 2019 e il 31 gennaio 2020;
  • lavoratori autonomiprivi di partita IVA, non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie diverse dalla G. S. INPS, che nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 23 febbraio 2020 siano stati titolari di contratti di lavoro autonomo occasionali ex art. 2222 del c.c., e non avessero un contratto in essere al 23 febbraio 2020. Gli stessi, per tali contratti, devono essere già iscritti al 23 febbraio 2020 alla Gestione Separata, con accredito nello stesso periodo di almeno un contributo mensile;
  • incaricati alle vendite a domicilio con relativo reddito annuo 2019 superiore ad euro 5.000, titolari di partita IVA attiva e iscritti in via esclusiva alla Gestione Separata INPS al 23 febbraio 2020.

 

Le nuove categorie di lavoratori contemplate non potranno comunque percepire il bonus nel caso in cui:

- risultino titolari di altro contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, diverso dal contratto intermittente;

- siano titolari di pensione.

 

La medesima indennità (600 euro per ciascun mese di aprile e maggio) verrebbe inoltre riconosciuta ai lavoratori iscritti al Fondo pensioni Lavoratori dello spettacolo, con almeno 15 contributi giornalieri versati nell'anno 2019 al medesimo Fondo, cui deriva un reddito non superiore a 35.000 euro, e non titolari di pensione o di rapporto di lavoro dipendente alla data di entrata in vigore della presente disposizione.

 

Si specificano inoltre alcune importanti previsioni contenute nella bozza di decreto:

  • le indennità che verranno erogate dall’INPS non concorrono alla formazione del reddito;
  • si intende riconoscere il bonus (diversamente rispetto a quanto stabilito nel Cura Italia) anche ai percettori di reddito di cittadinanza (purchè la somma complessiva erogata non superi i 600 euro);
  • i bonus previsti nella bozza di decreto non dovrebbero essere cumulabili tra loro e neppure con il cd. reddito di ultima istanza (art.44 del Cura Italia);
  • le indennità potrebbero invece essere compatibili con la percezione dell’assegno ordinario di invalidità.

 

Da ultimo si segnala l’incertezza nelle misure che verranno adottate nei confronti dei professionisti iscritti alle Casse di previdenza professionale (verso i quali era stato previsto un bonus una tantum per il mese di marzo di 600 euro, a carico del Ministero del Lavoro). E’ auspicabile che venga integrato il fondo stanziato in origine, quantomeno al fine di consentire l’erogazione del bonus relativo al mese di marzo ai soggetti che avevano fatto domanda ma che non lo hanno ricevuto a causa dell’esaurimento delle risorse previste. Si attende pertanto il relativo decreto interministeriale attuativo.

Non resta che aspettare il varo del Decreto Maggio che definisca le misure in esame.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 06/05/2020

Fonte: Fisco e Tasse

 

Tutte le scadenze della dichiarazione precompilata 730/2020 e Redditi

Da oggi 5 maggio 2020 è possibile accedere alla dichiarazione precompilata 2020: ecco tutte le scadenze della dichiarazione dei Redditi e 730 precompilate dall'Agenzia

 

 

La dichiarazione dei redditi e il 730 precompilati sono messi a disposizione dall'Agenzia delle Entrate da oggi 5 maggio, riguardano  oltre 30 milioni di contribuenti, per i quali è possibile scegliere la presentazione con i modelli precompilati o con l'ordinaria dichiarazione dei Redditi.

Il modello 730 precompilato riguarda dipendenti e pensionati e puo' essere accettato e spedito come proposto, oppure puo' essere modificato. La dichiarazione dei redditi precompilata invece puo essere modificata, integrata e inviata anch'essa all'Agenzia delle Entrate.

L'utilizzo delle precompilate è facoltativo e il contribute puo' scegliere di seguire anche le vie ordinarie, anche se bisogna ammettere che la precompilata aiuta molto e spesso puo' essere inviata, dopo aver controllato, senza modifiche.

Rimandando ad altri articoli per approfondirne il contenuto, ci sofferiamo qui nel calendario delle scadenze 2020, riguardante la precompilata sia con il modello Redditi che con il modello 730:  

05 maggio

è possibile accedere alla dichiarazione precompilata 2020

14 maggio

è  possibile:

    •  accettare, modificare e inviare la dichiarazione 730 precompilata all'Agenzia delle Entrate direttamente tramite l'applicazione web;

    •  utilizzare la compilazione assistita per gli oneri detraibili e deducibili da indicare nel quadro E

    •  modificare il modello Redditi precompilato

19 maggio

è possibile inviare il modello Redditi precompilato

25 maggio

è possibile inviare il modello:
    •  Redditi aggiuntivo del 730 presentando il frontespizio e i quadri RM, RT e RW
    •  Redditi correttivo per correggere e sostituire il 730 o il modello Redditi già inviato
    •  annullare il 730 già inviato e presentare una nuova dichiarazione tramite l'applicazione web.

L'annullamento del 730 si può fare solo una volta: fino al 22 giugno

22 giugno

Ultimo giorno utile per annullare tramite l’applicativo web il 730 già inviato

30 giugno

Ultimo giorno per il versamento di saldo e primo acconto per i contribuenti con 730 senza sostituto d'imposta o con modello Redditi

30 luglio

Ultimo giorno utile per il versamento, con la maggiorazione dello 0,40 per cento a titolo di interesse, di saldo e primo acconto per i contribuenti con 730 senza sostituto d'imposta o con modello Redditi

30 settembre

  • Ultimo giorno utile  per la presentazione del 730 precompilato all'Agenzia delle Entrate direttamente tramite l'applicazione web
  • Ultimo giorno utile per comunicare al sostituto d'imposta di non voler effettuare il secondo o unico acconto dell'Irpef o di volerlo effettuare in misura inferiore 

26 ottobre

Ultimo giorno per presentare, al Caf o professionista abilitato, il 730 integrativo, possibile solo se l'integrazione comporta un maggiore credito, un minor debito o un'imposta invariata.

10 novembre

Ultimo giorno utile per la presentazione del 730 correttivo di tipo 2 all'Agenzia delle Entrate direttamente tramite l'applicazione web

30 novembre

  •     Ultimo giorno utile per la presentazione del modello Redditi precompilato e per inviare il modello Redditi correttivo del 730
  •     Ultimo giorno utile per il versamento del secondo o unico acconto per i contribuenti con 730 senza sostituto d'imposta o con modello Redditi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 05/05/2020

Fonte: Fisco e Tasse

 

Tassazione dell'atto di dotazione del trust con imposta fissa

La Cassazione fa piena luce sulla non tassabilità dell'atto di dotazione del trust ponendo fine alle interpretazioni restrittive dell'Agenzia Entrate

 

 

Con ripetute sentenze la Cassazione accoglie la tesi favorevoli alla neutralità dell’atto di dotazione del trust  affermando l’inapplicabilità, tanto dell’imposta di registro, quanto la mancanza dell’arricchimento del trustee che riceve i beni in temporanea titolarità (legal ownership), nell’esclusivo interesse del beneficiario (equity  ownership).

 

La Giurisprudenza di legittimità

Numerose sono le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali, come confermate dalle Commissioni Tributarie Regionali, favorevoli alla neutralità dell’atto di dotazione del trust, che superano a pieni voti il vaglio dei giudici della nomofilachia i quali hanno inteso affermare l’inapplicabilità, tanto dell’imposta di registro in quanto atto privo di “contenuto patrimoniale” della traslazione (da non confondere col “contenuto di valore economico” della prestazione, al più rileverebbe in senso civilistico giammai in quello fiscale) che, per l’effetto, non realizza il presupposto impositivo, quanto la mancanza dell’arricchimento del trustee che, per l’effetto, non genera la capacità economica e contributiva in considerazione del fatto che esso, per diritto e non solo convenzionale, è unicamente il soggetto fiduciario affidatario dei beni del trust fund, che li riceve in temporanea titolarità (legal ownership), nell’esclusivo interesse del beneficiario (equity  ownership), al quale li dovrà trasferire indefettibilmente al termine finale di durata, emergendo, di tal guisa, in capo ad esso medesimo, l’espressione di ricchezza che genera il presupposto impositivo (Cassazione n. 25478/15; n. 21614/16; n. 975/18; n. 13626/18; n. 15469/18; n. 31446/18; n. 15456/19; 15455/19; n. 30816/19; n. 30821/19; n. 16699/19; n. 16701/19; n. 16702/19; n. 16703/19; n. 16704/19; n. 19167/19; n. 1131/19; n. 15453/19; n. 2901/20; n. 32392/20; n. 2897/20;)n. 2898/20; n. 2900/20; n. 2902/20; n. 4163/20; n. 7003/20).

Giova osservare, come, in questo lustro appena trascorso, la Corte di Cassazione abbia inteso esercitare, con le numerose elaborazioni giurisprudenziali univoche, la funzione giurisdizionale che le è propria fornendo un indirizzo interpretativo “uniforme” in ambito di tassazione degli atti di dotazione del trust, salvo minoritari pronunciamenti i quali apparivano idiosincratici più per una esigua e particolare casistica di trust giunti al vaglio,  ma che portavano con sé quell’alone di frode tanto vaneggiato, da un generale quanto insipienti immaginario collettivo, distraendo di fatto l’interprete, che per una tranquilla comprensione del fenomeno, come la stessa progressiva elaborazione giurisprudenziale si incaricherà di dimostrare.

 

Neutralità in rerum natura dell’atto di dotazione del trust

Viene in rilievo, non con stupore, come, i superiori pronunciamenti, diacronici oramai, qui in rassegna, che peraltro vede sullo stesso piano quella dottrina che ha sapientemente divulgato gli enzimi per la metabolizzazione del trust, hanno sancito la neutralità fiscale dell’atto di dotazione per essere privo di contenuto patrimoniale e, per l’effetto dunque, tassabile con la sola imposta d’atto, non rilevando il fine causale che per lungo tempo è stato foriero di contrastanti dibattiti alla spasmodica ricerca di un inquadramento fiscale, per ogni tipo di trust, impossibile come poi risulterà alla luce di una sincronica lettura delle norme che hanno fatto emergere le peculiarità dirimenti dell’istituto segregativo.

In fatti, la L. 364/89, art. 2 Conv. non a caso definisce il “trust” come un rapporto giuridico istituito, inter vivos o mortis causa, da una persona detta “disponente” qualora dei “beni” siano stati posti sotto il controllo di un “trustee”, nell'esclusivo interesse di un “beneficiario” o per uno “scopo”, costituendo, di tal guisa, una massa distinta e distante dal suo patrimonio personale e famigliare potendo essere intestati indifferentemente a sé o ad altro soggetto per suo conto. Egli, in fatti, è investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre detti beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge.

Ne consegue, ineludibilmente, che l’intestazione di detti beni al trustee è solo formale e non sostanziale al punto tale da essere giuridicamente estranei al cospetto dei suoi creditori, del suo fallimento, del suo matrimonio, della sua successione, etc. e come tale, la traslazione di questi, come la conseguente intestazione a sé medesimo, è fittizia e, dunque, funzionale al ri-trasferimento definitivo al beneficiario al quale è tenuto, in termini perentori, a consegnarlo al termine del negozio di segregazione. Ecco come, per tali ragioni, l’atto di dotazione nel trust, non porti con sé il contenuto patrimoniale, giusta l’art. 9 della tariffa di registro, Parte I, tipico del corrispettivo di trasferimento e dell’arricchimento che esprimerebbe la capacità contributiva, come vuole l’art. 53 della Costituzione.

 

Segregazione patrimoniale in trust e momento neutro di sospensione dell’imposta

In vero, gli elementi, imprescindili, attorno ai quali opera un trust, come noto, sono il disponente, il fondo e il beneficiario (the three certainties) che presuppongono la segregazione di un patrimonio (che per l’occasione lo potremmo definire property in cloud) funzionale alla realizzazione di un programma ben stabilito che per sua stessa natura non consente destinazioni diverse salvo quelle negoziali. Per ciò, essa, verosimilmente, è munita di uno statuto proprietario che determina sì assetti precostituiti, ma che non identifica alcun effetto economica e patrimoniale nella sfera dei soggetti del trust, salvo per il beneficiario, ma al termine finale di durata.

Pertanto, altro non rappresenta che un disciplinare -che come tale va osservato- per la gestione della proprietà senza dubbio difforme dagli stilemi classici civilistici noti, ma non per questo astrattamente elusiva, che realizza una mediata e futura traslazione di ricchezza, sia che si tratti di trust familiari liberali in funzione successoria o di passaggio generazionale, sia che si tratti di trust di scopo o di garanzia che liberali non sono; in ambe due ipotesi, in fatti, la manifestazione di ricchezza è realizzata mediante la traslazione definitiva dei beni dal trustee al beneficiario al verificarsi dello scopo, o fine, con conseguente carico tributario del soggetto in favore del quale si compie il ri-trasferimento dei beni del fondo.   

 

Il momento impositivo

Condivisibile è l’orientamento espresso dalla Corte Suprema, con le richiamate sentenze e ordinanze, la quale ha sapientemente stabilito che il momento impositivo in ambito trust non è realizzato al trasferimento dei beni dal disponente al trustee ma all’eventuale successivo trasferimento a quest’ultimo da parte del trustee cui sì connettere le imposte di successione e donazione ex  D. L. n. 262 del 2006 art. 2, comma 47, come convertito con modificazioni dalla L. n. 286 del 2006 che peraltro include anche i vincoli di destinazione.

Va ribadito al riguardo, ancora una volta, come il cit. art. 2 della Convenzione de l’Aja del 195, evidenzi, sostanzialmente, l’impossibilità del trustee di giovarsi dei beni del trust non potendo esercitare le prerogative proprietarie, che gli sarebbero proprie ove il trasferimento fosse sostanziale, quindi, dette limitazioni altro non fanno che confermare il carattere formale della traslazione a tutto vantaggio del carattere transitorio il quale, per l’effetto, è gestorio lato sensu, con l’onere, a volte retribuito a volte no, della prestazione gravata da responsabilità aquiliana la quale peraltro prescinde dal carattere oneroso o gratuito.

Il trasferimento al trustee, si ripete, è atto neutro la cui causa concreta risiede non già nell’arricchimento, ma nel fine negoziale o scopo e tanto in quanto non realizza il presupposto dell’imposta che, come informa l’art. 23 della Costituzione, è elemento posto a fondamento della piramide impositiva dalla quale risalire l’apotema della soggettivazione passiva fino a giungere alla cuspide cui è connessa e desunta la capacità contributiva del soggetto in favore del quale si compie il trasferimento, (Art. 53 Cost.).  

Ed allora, per una esatta e puntuale valutazione del fatto impositivo in presenza di trust occorre un esame critico scevro da condizionamenti preconfezionati che non deve -come spesso accade- orientare lo sguardo al trasferimento di apparente ricchezza dal disponente al trustee, ma deve valutare in primis se tale traslazione sia definitiva e in che misura realizzi il reale arricchimento di quest’ultimo o del beneficiario, a nulla valendo, nella fattispecie, i relativi titoli di legal o equity ownership che sappiamo essere, per il primo, effimero e temporaneo,  per il secondo, di attesa e dovuto, status, questi, giuridicamente non spendibili fuori dal perimetro del diritto dei trust in vigenza di trust. Dunque, il momento impositivo si identifica nel termine finale di durata del negozio il quale implica, salvo diversamente disposto dal disponente, l’attribuzione del trust fund al beneficiario che di tal guisa porta con sé il connesso carico fiscale per effetto della traslazione definitiva dei beni.

Tuttavia, non va sottaciuto, come possa accadere, che, al termine finale di durata del trust, non vi siano beni da attribuire al beneficiario, per essere stati venduti al fine di dover assolvere ai bisogni negoziali come le elargizioni in denaro e il sostenimento dei costi inerenti la gestione del trust, ma senza che tanto possa mai configurare una sottrazione all’imposta di beni, in quanto, a ben vedere, ne hanno dovuta scontare una, ben più elevata, in occasione della loro alienazione a titolo oneroso a terzi; infatti, ove la traslazione si fosse verificata nei confronti del beneficiario finale l’erario si sarebbe giovato di un minor gettito riferito alla imposta di successione e donazione, che, come noto, è inferiore fino a neutralizzarsi del tutto salvo non superare la franchigia nel caso di beneficiario discendente erede;  dunque, il fatto in sé considerato dimostra come il trust sia potenzialmente un volano d’imposta e non già elusivo, e tanto in considerazione del fatto -di non poco conto- che esso compie le attività tipiche quali, prime fra tutte, la tutela di interessi meritevoli, il passaggio generazionale, la compravendita immobiliare, investimenti finanziari, produzione industriale, commercio, etc., e, quanto più alto sia il suo trust fund tanto più gettito fiscale produrrebbe; salvo che si voglia istituire, sotto mentite spoglie, sic et sempliciter, una nuova e ulteriore tassa che colpisca, ancora una volta, il patrimonio, ma a tanto deve poterci pensare il decisore politico per il quale il tema del trust, evidentemente, non lo riguarda affatto; fortunatamente. 

 

Il vincolo di destinazione come fattispecie delle liberalità

 

I pronunciamenti in esame della Corte Suprema, con i quali peraltro ha superato il contrasto giurisprudenziale creatosi in tema di vincolo, hanno ribadito che il vincolo di destinazione rappresenta una fattispecie della liberalità e non già autonomo centro di imputazione da esercitarsi al di fuori del contesto di cui all’art. 2, comma 47 e ss. del D. L. 262/2006 a nulla valendo interpretazioni restrittive quanto illogiche e, dunque, contrarie all’orientamento costituzionale.

In vero, va osservato, come il citato D. L. 262/06 art 2, comma 47, altro non fa che reintrodurre una (sola) imposta, ossia quella sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito “e (anche) sulla costituzione di vincoli di destinazione” secondo le disposizioni concernenti la medesima imposta, di cui al D. Lgs. 346/90 nel testo vigente alla data del 24-10-2001; in fatti, per quanto d’interesse, va rilevato come nel Testo Unico non compaia articolato di sorta, tanto meno riferimenti alcuni, dedicato alla disciplina del vincolo di destinazione che facesse ritenere istituita una nuova imposta autonoma e disaggregata dal contesto successorio-donativo.

Eppertanto, il presupposto dell’imposta rimane sostanzialmente quello stabilito dall’art. 1 del citato D. L. ossia il “(reale) trasferimento di beni o diritti” al beneficiario di ultima istanza (Cass. n. 25478/15; n. 21614/16; n. 975/18; n. 13626/18; n. 15469/18; n. 31446/18; n. 16699/19; n. 16701/19; n. 16702/19; n. 16703/19; n. 16704/19; n. 19167/19; n. 1131/19; n. 15453/19; n. 2901/20; n. 32392/20; n. 2897/20;) e come se ciò non bastasse, è stato ribadito altresì che ai superiori rilievi devesi affiancare quello, non meno rilevante, legato alla capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione e al contenuto patrimoniale dell’atto, di cui all’art. 9 della tariffa di registro, Parte I,  D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.  

Viene in emersione in fine, in virtù del superiore principio di neutralità fiscale dell’atto di dotazione, come anche il trust testamentario, analogamente ai trust inter-vivos, non realizzando la immediata successione del patrimonio del de-cuius, il trasferimento dei beni al trustee, che vede beneficiari futuri, è parimenti atto neutro, quindi, privo di contenuto patrimoniale che, come tale, non realizza il presupposto impositivo e la capacita contributiva del trasferitario temporaneo dal momento che non è compiuta la traslazione definitiva al beneficiario, seppur erede.

 

Conclusioni

All’esito, possiamo ben affermare che il principio di neutralità dell’atto dotativo del trust è consolidato essendo connaturato, a nulla rilevando peraltro la causa, giusta le superiori elaborazioni giurisprudenziali di legittimità ci hanno dimostrato, in quanto: non è una liberalità o donazione diretta, semmai, a tutto voler concedere, indiretta; non rappresenta un vincolo di destinazione bensì una segregazione patrimoniale a termine per il raggiungimento di un fine meritevole di tutela legale; non è dotato di contenuto patrimoniale essendo il trasferimento dei beni al trustee una pura formalità negoziale che non realizza alcun presupposto impositivo, pertanto, in ogni caso, sconta unicamente l’imposta d’atto rinviando al termine finale di durata la tassazione, avuto riguardo al rapporto intercorrente tra disponente e beneficiario intestatario dei beni finali.

Alla luce di tanto, va osservato, con compiacimento di chi scrive, che il trust annovera un ulteriore elemento di pregio che a buon diritto lo lancia nell’agone degli atti negoziali del nostro ordinamento in particolare in quelli privi di contenuto patrimoniale che lo rendono di fatto idoneo strumento giuridico a disposizione dell’autonomia privata, più di quanto non fosse stato in passato, per la gestione di patrimoni segregati, semplici o complessi che siano, in neutralità d’imposta. 

Giunti fin qui, ci si aspetta, conseguentemente, a rigor di logica, che l’Agenzia delle Entrate processasse una nuova ed emancipata circolare in ambito della fiscalità del trust anche al fine di porre rimedio al proliferare di inutili e costosi contenziosi i quali, essendo di intralcio, costituiscono impedimento allo sviluppo dei mercati che di essi, l’erario, si nutre. Ci riuscirà? ai posteri l’ardua sentenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 01/05/2020

di Dott. Vincenzo Crusi

Fonte: Fisco e Tasse