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Fisco, più tasse: lavoreremo sino al 4 giugno per pagarle, un giorno in più rispetto al 2018

 

 

Dopo più di cinque mesi dall'inizio del 2019, pari a 154 giorni lavorativi, il contribuente medio italiano smetterà di lavorare per assolvere a tutti gli obblighi fiscali dell'anno, mentre dal 4 giugno inizierà a guadagnare per se stesso e per la propria famiglia. Considerando che la giornata lavorativa inizia convenzionalmente alle 8:00, ogni giorno l'italiano medio lavora per pagare tasse e contributi fino alle 11:23, quasi tre ore e mezza al giorno, mentre gli rimangono quattro ore e mezza per «costruirsi» il reddito o la retribuzione netta.

 

In seguito all'aumento della pressione fiscale, che secondo il Ministero dell'Economia nel 2019 è destinata ad attestarsi al 42,3% (+0,4 rispetto all'anno scorso), si sposta di un giorno, al prossimo 4 giugno, il cosiddetti «tax freedom day», il giorno di liberazione dal fisco. Il calcolo è stato effettuato dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre. Guardando la serie storica, negli ultimi 25 anni il giorno di liberazione fiscale più «precoce» si è verificato nel 2005 quando, con il Governo Berlusconi II, la pressione fiscale si attestò al 39,1% e la fine del 'giogo fiscalè fu fissata al 24 maggio (143 giorni lavorativi). Quello più in «ritardo» si è registrato nel 2012 e nel 2013, quando la pressione fiscale raggiunse il record storico del 43,6% per cento e, di conseguenza, il «giorno di liberazione fiscale» si celebrò il 9 giugno. Dal confronto con gli altri Paesi (ultimo anno disponibile riguarda il 2017) i contribuenti italiani lavorano quattro giorni in più rispetto alla media dell'area euro, otto rispetto ai 28 Paesi Ue. Solo la Francia presenta un numero di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse nettamente superiore (23); in Germania questo avviene sette giorni prima, in Olanda 13, nel Regno Unito 25 e in Spagna 28. Il paese più virtuoso è l'Irlanda, dove con una pressione fiscale del 23,4%, i contribuenti assolvono gli obblighi fiscali in 85 giorni lavorativi, cominciando lavorare per se stessi il 27 marzo, 69 giorni prima rispetto al nostro «tax freedom day».

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte : Il Messaggero

Il ruolo del consulente del lavoro nella “filiera della privacy”

Il Garante chiarisce la responsabilità del consulente del lavoro nel trattamento dei dati personali ex art 28 GDPR.

Una risposta del Garante per la protezione dei dati personali chiarisce in maniera definitiva e autorevole quali sono le fattispecie che riconducono il consulente del lavoro al ruolo del responsabile del trattamento dei dati personali ex art 28 GDPR.

 

 

L’Autorità è stata investita della richiesta di un quesito da parte del Consiglio Nazionale dei consulenti del lavoro (ma analoga richiesta era stata inoltrata anche da singoli professionisti) finalizzata a conoscere ruolo e prerogative rispetto al trattamento dei dati personali per conto dei clienti.
A tale proposito il Garante, nel ribadire una continuità tra quanto disciplinato dalla Direttiva 95/46/CE (attualmente abrogata) e il Regolamento (UE) 679/2016, ha affermato che il titolare è il soggetto che determina le finalità ed i mezzi del trattamento dei dati personali, mentre il responsabile è colui che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento.

 

 

1) Definizione di titolare e responsabile
2) Trattamento dati dei clienti e dei dipendenti dei clienti 

 

Definizione di titolare e responsabile

Definizione di titolare

L’art. 4, n. 7 del Regolamento definisce “«titolare del trattamento»: la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che, singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali”.

 

Definizione di responsabile
L’art. 4, n. 8 del Regolamento definisce “«responsabile del trattamento»: la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento

 

 

Trattamento dati dei clienti e dei dipendenti dei clienti

 Di conseguenza, occorre scindere due fattispecie:

- la prima in cui il consulente tratta dati personali dei propri dipendenti o dei propri clienti (persone fisiche) ed è, quindi, da considerarsi quale titolare del trattamento, poiché ne determina sia le finalità che i mezzi;

- la seconda attiene al trattamento dei dai personali dei dipendenti dei propri clienti, a fronte di un incarico ricevuto che ne esplicita anche le istruzioni sui trattamenti da effettuare.

Questa seconda fattispecie comprende, a titolo esemplificativo:

  • la predisposizione – da parte del consulente - delle buste paga,
  • le pratiche relative all'assunzione e al fine rapporto, o quelle previdenziali e assistenziali, trattando una pluralità di dati personali, anche sensibili, dei lavoratori.

In questo secondo ambito il trattamento dei dati personali avviene sulla scorta di un contratto tra cliente e consulente del lavoro che dovrà disciplinare anche gli adempimenti in materia di protezione dei dati personali, al fine di perimetrare le competenze e definire i rispettivi ruoli e responsabilità.

Detto in altri termini, il Garante ha ravvisato come discriminante per la distinzione della attribuzione del ruolo di titolare o di responsabile, la attività svolta dal consulente di lavoro che non può essere considerata in maniera unica, per quanto attiene all'applicazione della normativa in materia di protezione dei dati personali.

Ragion per cui vanno tenuti distinti e separati due perimetri:

  • un perimetro (che per semplicità potremmo definire “interno” ed ) che comprende il trattamento dei dati personali dei dipendenti del consulente del lavoro e dei propri clienti (solo persone fisiche in quanto la normativa di settore non trova applicazione nei confronti delle persone giuridiche)
  • ed un perimetro (che per semplicità potremmo definire “esterno”) che attiene al trattamento dei dati dei dipendenti del cliente.

Nel primo caso è riconosciuta al consulente del lavoro piena autonomia per quanto attiene alla individuazione delle finalità e dei mezzi per svolgere il trattamento; di qui la qualifica di titolare del trattamento.

Mentre nella seconda ipotesi, il trattamento dei dati personali dei dipendenti del cliente – da parte del consulente del lavoro - avviene dietro trasmissione degli stessi dati da parte del cliente che, per di più, impartisce istruzioni e stabilisce finalità e modalità e, quindi, riveste la carica di titolare del trattamento a fronte di un contratto di esternalizzazione di determinati servizi.

Sempre ad avviso del Garante, il ruolo di responsabile del trattamento attribuito al consulente del lavoro non fa venir meno in capo al professionista gli obblighi riguardo alla individuazione e predisposizione di idonee misure di sicurezza, sia tecniche che organizzative, a tutela dei dati personali trattati.

In questa risposta il Garante ha richiamato e confermato il proprio orientamento ne senso che “le attività di trattamento svolte da soggetti esterni per conto del titolare, il quale può decidere di affidare all'esterno lo svolgimento di compiti strettamente connessi all'esecuzione di obblighi previsti dalla normativa lavoristica e/o dal contratto di lavoro, devono, di regola, essere inquadrate nello schema titolare/responsabile del trattamento.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: Fisco e Tasse

 

 

 

 

Iper ammortamento 2019: cosa succede se il costo supera il preventivo

Iper ammortamento a scaglioni 2019: cosa fare se il costo supera il preventivo e l'acconto versato è minore del 20%

 

 

La legge di  bilancio 2019 ha tra le altre cose modificato il pacchetto Industria 4.0 eliminando il cd. super ammortamento e introducendo l'iper ammortamento a scaglioni. In particolari in base all'importo degli investimenti, sono stati stabiliti i seguenti scaglioni:

  • 170% fino a 2,5 milioni di € di investimento
  • 100%  compresi tra 2,5 e 10 milioni di € di investimento
  • 50% compresi tra 10 e 20 milioni di € di investimento
  • 0% Sulla parte di investimento eccedente il limite di 20 milioni di €.

 

Una domanda interessante su questo argomento è stata fatta nel corso di Telefisco 2019, l'incontro annuale tra l'amministrazione finanziaria e la stampa specializzata. Infatti, ponendo una domanda simile a quanto fatto qualche anno fa in merito al superammortamento, è stato chiesto cosa fare nel caso in cui entro il 31.12.2018 si sia provveduto a versare l'acconto pari al 20% dell'investimento complessivo per usufruire dell'agevolazione, ma che a causa di un aumento del costo dello stesso, quanto versato è minore del 20% richiesto.

Nel merito si ricorda che la Legge di bilancio 2018 (L. 205/2017) al comma 30 dell'articolo 1, ha fissato la scadenza per l'effettuazione di un investimento agevolabile al 31 dicembre 2018, tuttavia la consegna del bene o l'accettazione definitiva nel caso di appalto possono slittare al 31 dicembre 2019 nel caso di:

  • impegno all'acquisizione del bene;
  • versamento di un acconto minimo pari al 20%.

Come affermato in più occasioni dall'Agenzia delle Entrate nei casi in cui l'acconto fosse ex-post inferiore al 20% previsto dalla norma, a causa di successive revisioni di quanto originariamente pattuito, l'investitore non perdeva il diritto a beneficiare dell'iper ammortamento. Per quanto riguarda quest'anno, come anticipato, la Legge di bilancio 2019 ha modificato il funzionamento dell'iper-ammortamento quindi:

  • il costo pattuito entro il 31.12.2018 segue le regole in vigore per l'anno di imposta 2018,
  • il costo eccedente, segue le regole in vigore per l'anno di imposta 2019.

 

Si riprende l'esempio fatto a Telefisco e pubblicato sul Sole 24ore del 01.02.2019:

 

Esempio:

Ordine del 31.12.2018 per 1.000.000

Acconto pagato entro il 31.12.2018 pari a 200.000 

Importo consuntivo 2019 pari a 1.100.000.

 

In questo caso la maggiorazione del 150% verrà calcolato su quanto pattuito inizialmente e cioè 1.000.000 di euro, mentre i 100.000 euro in più se in possesso dei requisiti seguono gli scaglioni introdotti dalla Legge di bilancio 2019.

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 08/02/2019

Fonte: Il Sole 24 Ore