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Tutte le scadenze della dichiarazione precompilata 730/2020 e Redditi

Da oggi 5 maggio 2020 è possibile accedere alla dichiarazione precompilata 2020: ecco tutte le scadenze della dichiarazione dei Redditi e 730 precompilate dall'Agenzia

 

 

La dichiarazione dei redditi e il 730 precompilati sono messi a disposizione dall'Agenzia delle Entrate da oggi 5 maggio, riguardano  oltre 30 milioni di contribuenti, per i quali è possibile scegliere la presentazione con i modelli precompilati o con l'ordinaria dichiarazione dei Redditi.

Il modello 730 precompilato riguarda dipendenti e pensionati e puo' essere accettato e spedito come proposto, oppure puo' essere modificato. La dichiarazione dei redditi precompilata invece puo essere modificata, integrata e inviata anch'essa all'Agenzia delle Entrate.

L'utilizzo delle precompilate è facoltativo e il contribute puo' scegliere di seguire anche le vie ordinarie, anche se bisogna ammettere che la precompilata aiuta molto e spesso puo' essere inviata, dopo aver controllato, senza modifiche.

Rimandando ad altri articoli per approfondirne il contenuto, ci sofferiamo qui nel calendario delle scadenze 2020, riguardante la precompilata sia con il modello Redditi che con il modello 730:  

05 maggio

è possibile accedere alla dichiarazione precompilata 2020

14 maggio

è  possibile:

    •  accettare, modificare e inviare la dichiarazione 730 precompilata all'Agenzia delle Entrate direttamente tramite l'applicazione web;

    •  utilizzare la compilazione assistita per gli oneri detraibili e deducibili da indicare nel quadro E

    •  modificare il modello Redditi precompilato

19 maggio

è possibile inviare il modello Redditi precompilato

25 maggio

è possibile inviare il modello:
    •  Redditi aggiuntivo del 730 presentando il frontespizio e i quadri RM, RT e RW
    •  Redditi correttivo per correggere e sostituire il 730 o il modello Redditi già inviato
    •  annullare il 730 già inviato e presentare una nuova dichiarazione tramite l'applicazione web.

L'annullamento del 730 si può fare solo una volta: fino al 22 giugno

22 giugno

Ultimo giorno utile per annullare tramite l’applicativo web il 730 già inviato

30 giugno

Ultimo giorno per il versamento di saldo e primo acconto per i contribuenti con 730 senza sostituto d'imposta o con modello Redditi

30 luglio

Ultimo giorno utile per il versamento, con la maggiorazione dello 0,40 per cento a titolo di interesse, di saldo e primo acconto per i contribuenti con 730 senza sostituto d'imposta o con modello Redditi

30 settembre

  • Ultimo giorno utile  per la presentazione del 730 precompilato all'Agenzia delle Entrate direttamente tramite l'applicazione web
  • Ultimo giorno utile per comunicare al sostituto d'imposta di non voler effettuare il secondo o unico acconto dell'Irpef o di volerlo effettuare in misura inferiore 

26 ottobre

Ultimo giorno per presentare, al Caf o professionista abilitato, il 730 integrativo, possibile solo se l'integrazione comporta un maggiore credito, un minor debito o un'imposta invariata.

10 novembre

Ultimo giorno utile per la presentazione del 730 correttivo di tipo 2 all'Agenzia delle Entrate direttamente tramite l'applicazione web

30 novembre

  •     Ultimo giorno utile per la presentazione del modello Redditi precompilato e per inviare il modello Redditi correttivo del 730
  •     Ultimo giorno utile per il versamento del secondo o unico acconto per i contribuenti con 730 senza sostituto d'imposta o con modello Redditi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 05/05/2020

Fonte: Fisco e Tasse

 

Tassazione dell'atto di dotazione del trust con imposta fissa

La Cassazione fa piena luce sulla non tassabilità dell'atto di dotazione del trust ponendo fine alle interpretazioni restrittive dell'Agenzia Entrate

 

 

Con ripetute sentenze la Cassazione accoglie la tesi favorevoli alla neutralità dell’atto di dotazione del trust  affermando l’inapplicabilità, tanto dell’imposta di registro, quanto la mancanza dell’arricchimento del trustee che riceve i beni in temporanea titolarità (legal ownership), nell’esclusivo interesse del beneficiario (equity  ownership).

 

La Giurisprudenza di legittimità

Numerose sono le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali, come confermate dalle Commissioni Tributarie Regionali, favorevoli alla neutralità dell’atto di dotazione del trust, che superano a pieni voti il vaglio dei giudici della nomofilachia i quali hanno inteso affermare l’inapplicabilità, tanto dell’imposta di registro in quanto atto privo di “contenuto patrimoniale” della traslazione (da non confondere col “contenuto di valore economico” della prestazione, al più rileverebbe in senso civilistico giammai in quello fiscale) che, per l’effetto, non realizza il presupposto impositivo, quanto la mancanza dell’arricchimento del trustee che, per l’effetto, non genera la capacità economica e contributiva in considerazione del fatto che esso, per diritto e non solo convenzionale, è unicamente il soggetto fiduciario affidatario dei beni del trust fund, che li riceve in temporanea titolarità (legal ownership), nell’esclusivo interesse del beneficiario (equity  ownership), al quale li dovrà trasferire indefettibilmente al termine finale di durata, emergendo, di tal guisa, in capo ad esso medesimo, l’espressione di ricchezza che genera il presupposto impositivo (Cassazione n. 25478/15; n. 21614/16; n. 975/18; n. 13626/18; n. 15469/18; n. 31446/18; n. 15456/19; 15455/19; n. 30816/19; n. 30821/19; n. 16699/19; n. 16701/19; n. 16702/19; n. 16703/19; n. 16704/19; n. 19167/19; n. 1131/19; n. 15453/19; n. 2901/20; n. 32392/20; n. 2897/20;)n. 2898/20; n. 2900/20; n. 2902/20; n. 4163/20; n. 7003/20).

Giova osservare, come, in questo lustro appena trascorso, la Corte di Cassazione abbia inteso esercitare, con le numerose elaborazioni giurisprudenziali univoche, la funzione giurisdizionale che le è propria fornendo un indirizzo interpretativo “uniforme” in ambito di tassazione degli atti di dotazione del trust, salvo minoritari pronunciamenti i quali apparivano idiosincratici più per una esigua e particolare casistica di trust giunti al vaglio,  ma che portavano con sé quell’alone di frode tanto vaneggiato, da un generale quanto insipienti immaginario collettivo, distraendo di fatto l’interprete, che per una tranquilla comprensione del fenomeno, come la stessa progressiva elaborazione giurisprudenziale si incaricherà di dimostrare.

 

Neutralità in rerum natura dell’atto di dotazione del trust

Viene in rilievo, non con stupore, come, i superiori pronunciamenti, diacronici oramai, qui in rassegna, che peraltro vede sullo stesso piano quella dottrina che ha sapientemente divulgato gli enzimi per la metabolizzazione del trust, hanno sancito la neutralità fiscale dell’atto di dotazione per essere privo di contenuto patrimoniale e, per l’effetto dunque, tassabile con la sola imposta d’atto, non rilevando il fine causale che per lungo tempo è stato foriero di contrastanti dibattiti alla spasmodica ricerca di un inquadramento fiscale, per ogni tipo di trust, impossibile come poi risulterà alla luce di una sincronica lettura delle norme che hanno fatto emergere le peculiarità dirimenti dell’istituto segregativo.

In fatti, la L. 364/89, art. 2 Conv. non a caso definisce il “trust” come un rapporto giuridico istituito, inter vivos o mortis causa, da una persona detta “disponente” qualora dei “beni” siano stati posti sotto il controllo di un “trustee”, nell'esclusivo interesse di un “beneficiario” o per uno “scopo”, costituendo, di tal guisa, una massa distinta e distante dal suo patrimonio personale e famigliare potendo essere intestati indifferentemente a sé o ad altro soggetto per suo conto. Egli, in fatti, è investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre detti beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge.

Ne consegue, ineludibilmente, che l’intestazione di detti beni al trustee è solo formale e non sostanziale al punto tale da essere giuridicamente estranei al cospetto dei suoi creditori, del suo fallimento, del suo matrimonio, della sua successione, etc. e come tale, la traslazione di questi, come la conseguente intestazione a sé medesimo, è fittizia e, dunque, funzionale al ri-trasferimento definitivo al beneficiario al quale è tenuto, in termini perentori, a consegnarlo al termine del negozio di segregazione. Ecco come, per tali ragioni, l’atto di dotazione nel trust, non porti con sé il contenuto patrimoniale, giusta l’art. 9 della tariffa di registro, Parte I, tipico del corrispettivo di trasferimento e dell’arricchimento che esprimerebbe la capacità contributiva, come vuole l’art. 53 della Costituzione.

 

Segregazione patrimoniale in trust e momento neutro di sospensione dell’imposta

In vero, gli elementi, imprescindili, attorno ai quali opera un trust, come noto, sono il disponente, il fondo e il beneficiario (the three certainties) che presuppongono la segregazione di un patrimonio (che per l’occasione lo potremmo definire property in cloud) funzionale alla realizzazione di un programma ben stabilito che per sua stessa natura non consente destinazioni diverse salvo quelle negoziali. Per ciò, essa, verosimilmente, è munita di uno statuto proprietario che determina sì assetti precostituiti, ma che non identifica alcun effetto economica e patrimoniale nella sfera dei soggetti del trust, salvo per il beneficiario, ma al termine finale di durata.

Pertanto, altro non rappresenta che un disciplinare -che come tale va osservato- per la gestione della proprietà senza dubbio difforme dagli stilemi classici civilistici noti, ma non per questo astrattamente elusiva, che realizza una mediata e futura traslazione di ricchezza, sia che si tratti di trust familiari liberali in funzione successoria o di passaggio generazionale, sia che si tratti di trust di scopo o di garanzia che liberali non sono; in ambe due ipotesi, in fatti, la manifestazione di ricchezza è realizzata mediante la traslazione definitiva dei beni dal trustee al beneficiario al verificarsi dello scopo, o fine, con conseguente carico tributario del soggetto in favore del quale si compie il ri-trasferimento dei beni del fondo.   

 

Il momento impositivo

Condivisibile è l’orientamento espresso dalla Corte Suprema, con le richiamate sentenze e ordinanze, la quale ha sapientemente stabilito che il momento impositivo in ambito trust non è realizzato al trasferimento dei beni dal disponente al trustee ma all’eventuale successivo trasferimento a quest’ultimo da parte del trustee cui sì connettere le imposte di successione e donazione ex  D. L. n. 262 del 2006 art. 2, comma 47, come convertito con modificazioni dalla L. n. 286 del 2006 che peraltro include anche i vincoli di destinazione.

Va ribadito al riguardo, ancora una volta, come il cit. art. 2 della Convenzione de l’Aja del 195, evidenzi, sostanzialmente, l’impossibilità del trustee di giovarsi dei beni del trust non potendo esercitare le prerogative proprietarie, che gli sarebbero proprie ove il trasferimento fosse sostanziale, quindi, dette limitazioni altro non fanno che confermare il carattere formale della traslazione a tutto vantaggio del carattere transitorio il quale, per l’effetto, è gestorio lato sensu, con l’onere, a volte retribuito a volte no, della prestazione gravata da responsabilità aquiliana la quale peraltro prescinde dal carattere oneroso o gratuito.

Il trasferimento al trustee, si ripete, è atto neutro la cui causa concreta risiede non già nell’arricchimento, ma nel fine negoziale o scopo e tanto in quanto non realizza il presupposto dell’imposta che, come informa l’art. 23 della Costituzione, è elemento posto a fondamento della piramide impositiva dalla quale risalire l’apotema della soggettivazione passiva fino a giungere alla cuspide cui è connessa e desunta la capacità contributiva del soggetto in favore del quale si compie il trasferimento, (Art. 53 Cost.).  

Ed allora, per una esatta e puntuale valutazione del fatto impositivo in presenza di trust occorre un esame critico scevro da condizionamenti preconfezionati che non deve -come spesso accade- orientare lo sguardo al trasferimento di apparente ricchezza dal disponente al trustee, ma deve valutare in primis se tale traslazione sia definitiva e in che misura realizzi il reale arricchimento di quest’ultimo o del beneficiario, a nulla valendo, nella fattispecie, i relativi titoli di legal o equity ownership che sappiamo essere, per il primo, effimero e temporaneo,  per il secondo, di attesa e dovuto, status, questi, giuridicamente non spendibili fuori dal perimetro del diritto dei trust in vigenza di trust. Dunque, il momento impositivo si identifica nel termine finale di durata del negozio il quale implica, salvo diversamente disposto dal disponente, l’attribuzione del trust fund al beneficiario che di tal guisa porta con sé il connesso carico fiscale per effetto della traslazione definitiva dei beni.

Tuttavia, non va sottaciuto, come possa accadere, che, al termine finale di durata del trust, non vi siano beni da attribuire al beneficiario, per essere stati venduti al fine di dover assolvere ai bisogni negoziali come le elargizioni in denaro e il sostenimento dei costi inerenti la gestione del trust, ma senza che tanto possa mai configurare una sottrazione all’imposta di beni, in quanto, a ben vedere, ne hanno dovuta scontare una, ben più elevata, in occasione della loro alienazione a titolo oneroso a terzi; infatti, ove la traslazione si fosse verificata nei confronti del beneficiario finale l’erario si sarebbe giovato di un minor gettito riferito alla imposta di successione e donazione, che, come noto, è inferiore fino a neutralizzarsi del tutto salvo non superare la franchigia nel caso di beneficiario discendente erede;  dunque, il fatto in sé considerato dimostra come il trust sia potenzialmente un volano d’imposta e non già elusivo, e tanto in considerazione del fatto -di non poco conto- che esso compie le attività tipiche quali, prime fra tutte, la tutela di interessi meritevoli, il passaggio generazionale, la compravendita immobiliare, investimenti finanziari, produzione industriale, commercio, etc., e, quanto più alto sia il suo trust fund tanto più gettito fiscale produrrebbe; salvo che si voglia istituire, sotto mentite spoglie, sic et sempliciter, una nuova e ulteriore tassa che colpisca, ancora una volta, il patrimonio, ma a tanto deve poterci pensare il decisore politico per il quale il tema del trust, evidentemente, non lo riguarda affatto; fortunatamente. 

 

Il vincolo di destinazione come fattispecie delle liberalità

 

I pronunciamenti in esame della Corte Suprema, con i quali peraltro ha superato il contrasto giurisprudenziale creatosi in tema di vincolo, hanno ribadito che il vincolo di destinazione rappresenta una fattispecie della liberalità e non già autonomo centro di imputazione da esercitarsi al di fuori del contesto di cui all’art. 2, comma 47 e ss. del D. L. 262/2006 a nulla valendo interpretazioni restrittive quanto illogiche e, dunque, contrarie all’orientamento costituzionale.

In vero, va osservato, come il citato D. L. 262/06 art 2, comma 47, altro non fa che reintrodurre una (sola) imposta, ossia quella sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito “e (anche) sulla costituzione di vincoli di destinazione” secondo le disposizioni concernenti la medesima imposta, di cui al D. Lgs. 346/90 nel testo vigente alla data del 24-10-2001; in fatti, per quanto d’interesse, va rilevato come nel Testo Unico non compaia articolato di sorta, tanto meno riferimenti alcuni, dedicato alla disciplina del vincolo di destinazione che facesse ritenere istituita una nuova imposta autonoma e disaggregata dal contesto successorio-donativo.

Eppertanto, il presupposto dell’imposta rimane sostanzialmente quello stabilito dall’art. 1 del citato D. L. ossia il “(reale) trasferimento di beni o diritti” al beneficiario di ultima istanza (Cass. n. 25478/15; n. 21614/16; n. 975/18; n. 13626/18; n. 15469/18; n. 31446/18; n. 16699/19; n. 16701/19; n. 16702/19; n. 16703/19; n. 16704/19; n. 19167/19; n. 1131/19; n. 15453/19; n. 2901/20; n. 32392/20; n. 2897/20;) e come se ciò non bastasse, è stato ribadito altresì che ai superiori rilievi devesi affiancare quello, non meno rilevante, legato alla capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione e al contenuto patrimoniale dell’atto, di cui all’art. 9 della tariffa di registro, Parte I,  D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.  

Viene in emersione in fine, in virtù del superiore principio di neutralità fiscale dell’atto di dotazione, come anche il trust testamentario, analogamente ai trust inter-vivos, non realizzando la immediata successione del patrimonio del de-cuius, il trasferimento dei beni al trustee, che vede beneficiari futuri, è parimenti atto neutro, quindi, privo di contenuto patrimoniale che, come tale, non realizza il presupposto impositivo e la capacita contributiva del trasferitario temporaneo dal momento che non è compiuta la traslazione definitiva al beneficiario, seppur erede.

 

Conclusioni

All’esito, possiamo ben affermare che il principio di neutralità dell’atto dotativo del trust è consolidato essendo connaturato, a nulla rilevando peraltro la causa, giusta le superiori elaborazioni giurisprudenziali di legittimità ci hanno dimostrato, in quanto: non è una liberalità o donazione diretta, semmai, a tutto voler concedere, indiretta; non rappresenta un vincolo di destinazione bensì una segregazione patrimoniale a termine per il raggiungimento di un fine meritevole di tutela legale; non è dotato di contenuto patrimoniale essendo il trasferimento dei beni al trustee una pura formalità negoziale che non realizza alcun presupposto impositivo, pertanto, in ogni caso, sconta unicamente l’imposta d’atto rinviando al termine finale di durata la tassazione, avuto riguardo al rapporto intercorrente tra disponente e beneficiario intestatario dei beni finali.

Alla luce di tanto, va osservato, con compiacimento di chi scrive, che il trust annovera un ulteriore elemento di pregio che a buon diritto lo lancia nell’agone degli atti negoziali del nostro ordinamento in particolare in quelli privi di contenuto patrimoniale che lo rendono di fatto idoneo strumento giuridico a disposizione dell’autonomia privata, più di quanto non fosse stato in passato, per la gestione di patrimoni segregati, semplici o complessi che siano, in neutralità d’imposta. 

Giunti fin qui, ci si aspetta, conseguentemente, a rigor di logica, che l’Agenzia delle Entrate processasse una nuova ed emancipata circolare in ambito della fiscalità del trust anche al fine di porre rimedio al proliferare di inutili e costosi contenziosi i quali, essendo di intralcio, costituiscono impedimento allo sviluppo dei mercati che di essi, l’erario, si nutre. Ci riuscirà? ai posteri l’ardua sentenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 01/05/2020

di Dott. Vincenzo Crusi

Fonte: Fisco e Tasse

 

La 231 nell'emergenza sanitaria: prime indicazioni e pareri

Rischio epidemiologico e infiltrazioni criminali all'interno delle imprese diventano un tassello importante all’interno del modello organizzativo 231

 

 

 

L’emergenza sanitaria sta cambiando il modo di agire di tutti, aggiungendo, giorno dopo giorno, complessità alle nostre azioni quotidiane.

All’alba della fase 2 annunciata dal Governo per bocca del Presidente del Consiglio dei Ministri, le imprese devono fare i conti non solo con aperture contingentate e calendarizzate, ma anche e soprattutto con il contenimento della diffusione del virus, e quindi con il rischio epidemiologico di cui esso si fa portatore.

Dall’altro lato le imprese sono anche sottoposte ad un importante rischio liquidità, che il Governo sta cercando di arginare con l’emanazione di decreti legge a sostegno delle attività imprenditoriali, non ultimo il Decreto Legge 23 del 2020 (noto come dl Liquidità), cui ne seguirà a giorni un altro. La portata di tali decreti ha natura eccezionale per tempi ma soprattutto per risorse in essi contenute, ma potrebbe non bastare: è da questo che potrebbe derivare il rischio di criminalità finanziaria che si potrebbe insinuare ancora di più nel tessuto imprenditoriale italiano.

Pertanto, in questo momento storico, il rischio epidemiologico ed il rischio di infiltrazioni criminali all’interno delle imprese diventano un tassello importante all’interno del modello organizzativo 231. È ciò che viene discusso nel documento della Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti e del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. In questa fase 2 quindi, oltre ai canonici presidi in materia di 231, peraltro garantiti dalla presenza dell’Organismo di Vigilanza, che ha il compito di controllo di adeguatezza del modello e monitoraggio dei protocolli adottati, si aggiunge una particolare attenzione al rischio epidemiologico ed al rischio di criminalità finanziaria. Il documento in commento vuole dare un primo commento ed una prima soluzione operativa alle novità dettate dalla contingenza storica.

 

Aggiornamento documento di valutazione del rischio DVR

Il rischio epidemiologico è oggetto di specifica attenzione da parte del Governo che con il nuovo DPCM del 24 aprile 2020 ha introdotto il “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, che si coordina con le norme più generali di tutela della salute dei lavoratori sancito dall’art. 2087 c.c. e dal D.Lgs. 81/2008.

Sappiamo anche che il perimetro di reati presupposto in materia di 231 comprende, all’art. 25-septies del D.Lgs.231/2001, anche reati commessi in violazione di norme anti infortunistiche e sulla tutela e salute del lavoro, secondo gli artt. 589 e 590 del codice penale. Pertanto, le aziende che si sono dotate o che si doteranno di un modello organizzativo 231 avranno la necessità di adottare misure specifiche e di integrare i protocolli di prevenzione dei reati sopra indicati.

In caso di inadempimento, potrebbe configurarsi una responsabilità amministrativa dell’ente qualora dalla commissione dell’illecito derivi vantaggio all’ente (es. minori costi e quindi risparmio sui dispositivi di protezione personale).

In generale le aziende dovrebbero aggiornare il documento di valutazione del rischio (DVR), individuando una specifica figura ad hoc per la gestione dell’emergenza Covid-19 ed attuare una efficace campagna informativa legata per facilitare la diffusione all’interno della organizzazione di norme comportamentali e raccomandazioni per il contenimento epidemiologico, in ossequio a quando indicato dal DPCM del 19 marzo 2020, che a suo tempo incentivava il lavoro agile (cd. Smart working), ferie e congedi retribuiti, sospensione attività di reparti non necessari alla produzione, adozione di protocolli anti contagio, sanificazione dei luoghi di lavoro, limitazione degli spostamenti all’interno delle organizzazioni, intese tra imprese e organizzazioni sindacali.

Il decreto del 24 aprile ha normato ancora di più i protocolli da adottare da parte delle imprese, soprattutto con riferimento a procedure di ingresso, accesso contingentato alle mense aziendali, sanificazione giornaliera, dotazione e messa a disposizione di prodotti igienizzanti e DPI, orari e modalità di entrata/uscita dei dipendenti, sorveglianza sanitaria di concerto con il RLS e costituzione di un comitato per applicazione e verifica delle regole del protocollo di regolamentazione con partecipazione di rappresentanze sindacali e RLS.

 

Rischio di infiltrazioni criminose all'interno delle imprese in difficoltà

Il secondo rischio su cui porre attenzione in questa particolare fase è quello di infiltrazioni criminose all’interno delle organizzazioni, certamente legato alle imprese che sono in difficoltà economica e finanziaria legata ai blocchi delle proprie attività portati per far fronte al contenimento epidemiologico.

All’orizzonte quindi non vi sono solamente possibili aumenti dei reati di usura, ma anche acquisizioni dirette ed indirette di imprese da parte di organizzazioni criminali, il che porta ad avere maggiore cura ed attenzione della adeguata verifica della clientela da parte degli istituti di credito che, secondo il Decreto Liquidità, sono il “fronte” della erogazione di denaro garantito dallo Stato in alcuni casi anche al 100%. Pertanto i richiedenti finanziamenti devono essere particolarmente controllati nelle varie fasi: richiesta, erogazione, prosecuzione, in ossequio alla normativa antiriciclaggio del D.Lgs. 231 del 2007. Questa attenzione non va solamente posta dagli intermediari, ma anche e soprattutto da tutti i destinatari delle norme antiriciclaggio.

Tali rischi sono stati resi noti dall’UIF, che ha elencato anche una serie di possibili condotte criminose da ascrivere nell’alveo dei reati presupposto ai sensi del D.Lgs. 231/2001, e che quindi, se commessi e non oggetto di attenzione da parte della organizzazione, possono portare ad una responsabilità amministrativa dell’ente. Essi sono tutti ascrivibili alla sfera delle imprese, e quindi vanno dai reati informatici, a quelli tributari, societari, truffa ai danni dello Stato, nonché delitti contro industria e commercio, per finire al riciclaggio. Tutti reati che devono essere commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente e per i quali non è stata dimostrata la validità delle procedure esimenti adottate dal Modello Organizzativo 231.

 

Il documento del Consiglio Nazionale Commercialisti

Il documento individua poi, nella sua parte finale, le prime indicazioni operative per il controllo, demandato, in sede di 231, all’Organismo di Vigilanza e, a cascata, al Responsabile di Servizio Prevenzione e Protezione.

La parte più rilevante delle novità riguarda soprattutto il rischio epidemiologico. Si raccomanda inoltre che siano intensificati i flussi informativi da e verso l’Organismo di Vigilanza da parte degli altri organi di controllo presenti in azienda, sia collegio sindacale che revisore legale, se ovviamente presenti e a meno che la composizione dell’Organismo di Vigilanza non coincida con il Collegio Sindacale.

In particolare, l’OdV dovrà necessariamente trasmettere all’organo amministrativo e al RSPP una informativa sul rischio epidemiologico in atto, evidenziando rischi connessi e chiedendo quali sono le procedure adottate per ridurre i rischi di diffusione del contagio.

Alla risposta, l’OdV dovrà valutare i documenti portati alla propria attenzione, verificando la adeguatezza dei protocolli straordinari portati avanti da datore di lavoro, RSPP e medico aziendale e verbalizzare la riunione della verifica avvenuta anche in videoconferenza. Se emergono criticità, esse vanno segnalate all’organo amministrativo e dovrà essere fatto un successivo monitoraggio continuo.

Pertanto l’Organismo di Vigilanza, anche in questa situazione emergenziale, continua a svolgere l’attività che gli viene assegnata dalla legge, ovvero costante vigilanza sulla adeguatezza del modello organizzativo e monitoraggio sulla efficace attuazione dello stesso. Si ricorda che lo stesso ha solo il compito di segnalare ed indicare eventuali politiche di miglioramento, la cui adozione però spetta sempre all’organo amministrativo. L’Organismo di Vigilanza quindi può solo sollecitare quest’ultimo ad intervenire, non si può sostituire ad esso né ad altre funzioni di vigilanza, come il controllo interno.

 

 

 

 

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Pubblicato il 30/04/2020

Fonte: Fisco e Tasse